“Time-out con il Coach” – Antonio Petillo
Nuovo appuntamento con la nostra rubrica che va ad intervistare alcuni degli allenatori con più esperienza e responsabili di importanti settori giovanili. Antonio Petillo, responsabile tecnico della Kouros Napoli è uno dei principali volti della pallacanestro campana e nazionale, allenatore benemerito oltre che scrittore e conoscitore d’arte contemporanea. Ha risposto così alle domande di italhoop:
- Qual è la sua visione sulla pallacanestro giovanile italiana in questo momento? C’è qualcosa in particolare che cambierebbe?
Al momento abbiamo in Italia alcuni giovani talenti molto interessanti e ben preparati, ma il movimento in generale non brilla; è piuttosto depresso. Per quanto riguarda le società, credo che si debba fare una chiara distinzione tra reclutamento e formazione. Il reclutamento lo fanno club che vogliono vincere con le giovanili. La formazione la fanno club che hanno l’orgoglio di creare nuovi prospetti, grazie ad allenatori dediti a prendersi cura degli allievi.
Reclutare ragazzini futuribili a cui dare la possibilità di formarsi in un gruppo competitivo è buona cosa. Tuttavia, molti club cercano ragazzi già formati e funzionali. Questo è fin troppo facile. È come le grosse aziende che cercano laureati eccellenti. Ma chi li deve formare? Peraltro, è diventato di costume per tanti club inserire coppie di stranieri la cui età evidenzia molti dubbi.
Spesso ragazzi che lasciano le loro famiglie, trascurando un po’ lo studio e adattandosi in foresterie, restano illusi da settori giovanili che purtroppo non gli possono garantire un futuro da professionisti né li fanno giocare nella loro prima squadra senior. Questo è un problema che andrebbe affrontato prima di fare un reclutamento al solo scopo di vincere campionati giovanili.
Come nella società civile, oggi prevale il “saper apparire” piuttosto che il “saper essere”. Bisogna invertire questa tendenza. Dare più valore alla crescita dei ragazzi piuttosto che ai risultati. La vittoria è una conclusione la formazione un percorso. I giovani sono in cammino.
In Italia abbiamo le competenze per progettare proposte che invertano questa rotta.
- Per quanto riguarda le nazionali giovanili, cosa ne pensa? C’è qualcosa che farebbe in modo diverso?
Con le nazionali giovanili si sta operando molto bene. Tuttavia, penso che sia compito deli comitati regionali allargare la base, come già fanno alcune regioni con buoni risultati.
Organizzare più attività in palestra, favorisce il confronto e la competitività tra i giovani e di conseguenza la crescita del singolo elemento. Questo vale anche come riconoscimento e motivazioni a società ed allenatori per il lavoro svolto.
- Un argomento molto discusso è il Minibasket, cosa ne pensa di quello che viene fatto e della metodologia attuale?
Condivido il metodo induttivo esperienziale che si applica attualmente, che tende a sviluppare l’autonomia e consapevolezza del bambino. In certi casi può essere opportuno interagire con il bambino per condividere quale può essere il miglior sistema di risoluzione di un problema.
- Quali sono le caratteristiche principali e la filosofia del suo club?
Il mio club è nato per fini sociali. Tuttavia, la mia passione per l’insegnamento del basket ci ha portato a programmare anche un’attività molto curata a livello tecnico agonistico. Sono molto esigente sulla programmazione e la metodologia. Ogni allenamento deve essere una lezione che si integra con quella fatta il giorno prima. La corretta “stratificazione” degli argomenti proposti, consente al ragazzo di apprendere gradualmente e profondamente il gioco della pallacanestro.
La quantità degli allenamenti è un’altra importante prerogativa. I nostri allenamenti sono di due ore e mezza, senza soste, con un solo giorno di riposo settimanale. Tutti i ragazzi giocano in due campionati, quello di appartenenza e quello di fascia di età superiore.
Anche lo staff tecnico è integrato in ogni gruppo. I ragazzi riconoscono tutti gli allenatori come il loro coach.
Sotto il profilo tecnico il nostro credo è il gioco senza palla. Prendere vantaggio senza palla permette a tutti di essere coinvolti nel gioco e sentirsi utili. Giocare “insieme”, senza dare la licenza al più bravo di fare tutto da solo emarginando la crescita di quelli meno pronti.
- In serie A e A2 non sono molti i giovani che trovano spazio, perché? Non c’è fiducia o non sono preparati?
Nella pallacanestro, come in tutti i settori della vita civile, un giovane deve costruirsi il futuro lottando contro le chiusure del sistema. Purtroppo, a nessun componente del settore in questione conviene far giocare un giovane: Il presidente è soggetto agli sponsor per come spende i soldi. Se gioca un giovane, piuttosto che un costoso noto giocatore, vuol dire che c’è stato uno spreco economico, una cattiva gestione dei soldi dello sponsor; Il GM deve dimostrare la sua acutezza e bravura nell’aver costruito la squadra. Un giovane di norma non è oggetto di complesse e capaci trattative; Il vecchio giocatore non intende perdere il posto a favore di un rampollino emergente; l’allenatore, sempre sul filo, non rischia certo l’esonero per dar spazio al giovane; Perfino il pubblico paga per applaudire il campione non il bambino in erba…
Quest’anno in Campania ci è stato concesso di partecipare al campionato di “C” con il nostro gruppo Under 17/16. Questo favorisce una grande possibilità di raffronto per i ragazzi. Più avanti, potranno avvantaggiarsi di questo curriculum esperienziale per sostenere allenamenti con le prime squadre di campionati maggiori, nei quali iniziare la “gavetta”.
- C’è un qualche pensiero o idea che avrebbe voglia di condividere?
Mettere il ragazzo al centro del progetto. Allenare a livello giovanile significa “dare” non “prendere”.
Grazie ancora a Coach Petillo al quale ItalHoop augura un buon proseguimento di stagione.