High School

Intervista a Gabriele Stefanini

Abbiamo tradotto per voi un’intervista rilasciata da Gabriele Stefanini, play-guardia di Bergen Catholic, al sito North Jersey Sports.

Gabriele Stefanini di Bergen Catholic – formazione di high school di cui fa parte anche Thomas Binelli – è reduce da una prestazione importante: 15 punti nella vittoria per 67-62 sul campo di Don Bosco in una rivalry molto sentita da parte delle due scuole.

Il sito americano North Jersey Sports lo ha nominato Athlete of the Week e, per l’occasione, ha realizzato una lunga videointervista che abbiamo trascritto, riassunto e tradotto per voi.

 

Tu e i Crusaders avete cominciato alla grande questa stagione, con due grosse vittorie contro Wayne Hills e Don Bosco.

Bergen non vinceva in casa di Don Bosco da undici anni: volevamo davvero quella vittoria, eravamo sicuri di noi stessi e non vedevamo l’ora di giocare. Appena siamo scesi in campo e abbiamo visto il pubblico, eravamo carichi: già dalla palla a due eravamo concentratissimi, abbiamo giocato davvero di squadra e l’abbiamo portata a casa.

C’è da dire che non avete affatto giocato da underdog in quella partita.

Esatto. In squadra abbiamo, fra i più giovani, dei giocatori che diventeranno veramente buoni come Matt Zona, che ha messo due liberi importanti nel finale. Taj [Benning] ha fatto una grande partita, Doug [Edert] è un grande tiratore, Thomas [Binelli] ha giocato molto bene. Abbiamo fatto un gran lavoro in difesa, tutti insieme.

A 6.8 secondi dalla fine, sopra di 3, sei stato mandato in lunetta: che cosa hai pensato quando ti sei dovuto prendere quei liberi?

Ero in fiducia. So di essere un buon tiratore di liberi. I miei compagni e il mio coach avevano fiducia in me, quindi non volevo deludere nessuno, ma onestamente sapevo che non sarebbe successo. Era una situazione importante, in una partita importante: sapevo che ne avevamo bisogno. Alla fine è andata bene.

Sotto quale aspetto in particolare la squadra sta andando bene?

Penso che la differenza maggiore rispetto al passato sia nei nostri allenamenti. Lavoriamo per costruire delle abitudini, in modo da poter compiere le scelte giuste al momento giusto in partita. Billy [Armstrong] sta facendo un grandissimo lavoro nel tenerci sempre concentrati. La squadra quest’anno è molto meglio rispetto all’anno scorso, nel modo in cui siamo uniti. Non so come spiegarlo, semplicemente siamo molto a nostro agio nel giocare insieme.

Qualcuno forse non lo sa, ma tu vieni dall’Italia: parlaci un po’ del percorso che ti ha fatto decidere di venire negli Stati Uniti e delle cose in cui ti sei dovuto adattare.

Era da quattro anni che volevo lasciare il mio paese e venire qui fondamentalmente perché è il sogno di ogni giocatore di basket che viene da un paese straniero. Mio padre mi ha aiutato tanto, e ci sono altre persone che ci hanno aiutato in questo percorso. Non è stato facile all’inizio, specialmente con la lingua: me la cavavo, ma a scuola durante i primi due mesi ho fatto molta fatica e mi sono messo sotto pressione, volevo fare bene sin da subito. Sapevo che non era possibile ma ho comunque lavorato sodo e alla fine ce l’ho fatta. Nessuno dubitava di me: tutto quel che volevo era non deludere la mia famiglia e i miei amici.

C’è un giocatore italiano che preferisci particolarmente?

Dico Marco Belinelli perché conosco la sua etica del lavoro. Vuole imparare qualcosa ogni volta che è in palestra: è un qualcosa di incredibile.

Nel 2015 hai avuto l’opportunità di giocare all’Europeo U16: com’è stato per te?

E’ stata un’esperienza che mi ha fatto crescere. E’ abbastanza dura stare via per tutta l’estate, in alcune partite giocavo tanto, in altre no. Nelle prime tre partite dell’Europeo non giocai molto, poi alla quarta feci una buona partita e il coach cominciò a darmi maggiore fiducia rispetto a prima, quando avevo avuto diversi alti e bassi. Penso di aver fatto un buon lavoro, mi ha aiutato a essere parte di un sistema.

Qual è la maggiore differenza nel giocare a basket fra Italia e Stati Uniti?

La differenza è nella fisicità e nel ritmo. Qui nel New Jersey si gioca senza cronometro mentre in Italia si gioca secondo le regole Fiba, coi 24 secondi. Qui la partita può essere molto lenta o andare velocissima e ci sono più giocatori atletici. Ho dovuto cambiare molto sia il mio corpo che il mio gioco. Ora mi sento in gran forma e faccio quel che devo per aiutare la squadra a vincere. Il nostro obiettivo, quest’anno, è di vincere il campionato e faremo tutto il possibile per farcela.

Hai un piatto preferito, magari qualcosa tipico di dove provieni?

Non sono schizzinoso col cibo, mangio di tutto. Probabilmente il mio piatto preferito sono i tortellini di mia nonna.

Tu giocherai per Columbia University: come mai questa scelta?

Ho pensato che fosse il miglior programma per me, sia dentro che fuori dal campo. Lì posso avere un’istruzione di livello che, una volta laureato, può lasciarmi tante porte aperte. Ho un ottimo rapporto con coach Engles, mi piace molto il modo in cui allena, e il suo assistente Czech mi ha aiutato molto ed è uno delle persone dello staff cui sono più vicino. Ha dimostrato di apprezzarmi molto.

Fra tutte le partite che hai giocato, qual è per te la più memorabile?

La vittoria di venerdì con Don Bosco, considerando cosa significhi per la scuola e per la squadra.

 

 

© photo: John Munson | nj.com

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