Guida agli italiani in NCAA 2018-19
Dodici azzurri ai nastri di partenza: le loro prospettive individuali e di squadra racchiuse nel nostro ranking annuale.
Un’altra stagione di college basketball si appresta a prendere il via (martedì 6 novembre la prima giornata di partite) e il numero d’italiani impegnati in Division I è alto come non mai: ben dodici, infatti, sono gli azzurri che Italhoop seguirà regolarmente e vi racconterà attraverso i consueti recap settimanali.
Anche per quest’anno abbiamo deciso di presentare la stagione attraverso una graduatoria che possa indicare chi, fra i nostri connazionali, abbia più possibilità di disputare un’annata degna di nota, mettendo dunque sullo stesso piano il valore individuale degli interessati, il fit e gli spazi a disposizione nelle rispettive squadre e il livello (davvero molto variabile in D-I) del contesto nel quale sono calati. Il tutto è riassunto graficamente con un punteggio da 1 a 5, in riferimento alle voci seguenti:
- Giocatore – Il valore attuale (con un occhio a quello potenziale) del singolo giocatore. Il modo in cui le stellette sono assegnate è ispirato a quello tipicamente adottato negli USA nei ranking dei prospetti in uscita dalle high school.
- Impatto – Non solo il tipo di minutaggio previsto ma anche il tipo di apporto che si prefigura, dove l’1 sta per un giocatore completamente ai margini delle rotazioni e il 5 per un titolare d’importanza cruciale e potenziale All-Conference Player.
- Contesto – Il valore dei roster di cui fanno parte senza però tralasciare, in seconda battuta, quello del coaching staff e il livello complessivo delle conference. Si va dall’1 per le squadre di fascia più bassa sul totale delle 353 che compongono la D-I fino al 5 per le squadre da vertici della Top 25.
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#,-,Giocatore,Impatto,Contesto,TOT
1,Alessandro LEVER,4.0,5.0,3.0,12.0
2,Davide MORETTI,4.0,3.5,4.5,12.0
3,Pierfrancesco OLIVA,3.0,4.0,3.5,10.5
4,Giovanni DE NICOLAO,3.0,4.5,3.0,10.5
5,Micheal ANUMBA,3.5,4.0,2.5,10.0
6,Guglielmo CARUSO,3.5,3.0,2.5,9.0
7,Gabriele STEFANINI,3.0,4.0,2.0,9.0
8,Federico POSER,2.5,3.0,2.0,7.5
9,Mattia DA CAMPO,2.0,2.5,2.5,7.0
10,Ethan ESPOSITO,2.0,3.0,2.0,7.0
11,Pietro AGOSTINI,2.0,2.5,1.0,5.5
-,Francesco BADOCCHI,-,-,-,-
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1. Alessandro LEVER
PF/C | So. | ’98 | Grand Canyon
Da rivelazione a protagonista atteso: Alessandro Lever ha compiuto una scalata molto rapida nel suo anno d’esordio, sia all’interno delle gerarchie di Grand Canyon che agli occhi dei vari osservatori del college basket. Il lungo, infatti, è stato scelto come Preseason POY della WAC e inserito nella watch list di 21 giocatori del Kareem Abdul-Jabbar Award, riconoscimento rivolto ai migliori lunghi della NCAA. Nella stagione passata ha messo insieme 12.2 punti, 4.4 rimbalzi e 1.2 assist in 20.8 minuti, con un utilizzo e una produzione offensiva incrementatisi vistosamente nella seconda metà dell’annata (da metà gennaio, 9 partite su 16 chiuse con almeno 20 punti segnati), quella in cui ha preso per mano la squadra portandola a un passo dalla qualificazione al Torneo NCAA.
Tiro da tre, dalla media, gioco fronte a canestro e in post basso: in una misura o nell’altra, Lever sa fare davvero un po’ di tutto in attacco quando è in cerca di una conclusione personale – e questa è stata un po’ l’ancora di salvezza di una GCU che ha avuto i suoi bei problemi di produzione offensiva nella scorsa stagione. Il lungo si distingue anche per una discreta creatività nell’imbeccare i compagni, per quanto ci siano progressi che possono essere fatti in termini di tempismo e precisione nel dare via la palla quando è raddoppiato.
Giocatore molto passionale, sia nel bene che nel male: la sua combattività si fa sentire in ogni partita ma spesso si lascia innervosire da decisioni arbitrali avverse. Insomma, un “fuoco dentro” spesso encomiabile ma che resta da gestire.
Il vero punto di svolta della sua maturazione risiede però altrove, come detto da Lever stesso non molto tempo fa: «Devo migliorare moltissimo fisicamente: ingrossarmi un po’, diventare più rapido ed esplosivo. Devo imparare a marcare giocatori più piccoli e veloci di me». Il bolzanino basa molto del suo gioco in post basso sulla capacità di riconoscere e occupare gli spazi giusti, oltre che su un buon tocco; in traffico, contro corpi più grossi e atletici, fatica però a segnare – 51.5% nelle realizzazioni al ferro stando a Hoop-Math, percentuale in genere accettabile per una guardia ma molto bassa per un lungo.
Eventuali progressi sul piano fisico ne farebbero un miglior rimbalzista sotto i propri tabelloni, ma lo stile di GCU richiede anche e soprattutto un maggior grado di mobilità da parte sua, visto che molto della difesa dei Lopes si basa su cambi continui e pressione costante attorno al perimetro: non a caso, è stata la squadra che ha forzato le più basse percentuali dall’arco avversarie in tutta la D-I (27.5%).
Già altamente incisivo nella WAC, Lever potrebbe anche diventare straripante, se riuscisse a seguire la curva di miglioramento osservata l’anno scorso, visto anche che nella sua conference non c’è frontcourt che regga in tutto e per tutto il confronto con quello di GCU.
FIT & CONTESTO • Lever sarà il perno di una squadra alquanto atipica per il panorama delle mid-major (cioè tutto quel mondo del college basket che sta al di fuori delle 6 grandi conference), con tanti centimetri distribuiti un po’ in tutti i reparti e molta potenza di fuoco fra ali e lunghi.
Il backcourt sarà affidato in primis al promettente Damari Milstead e a Carlos Johnson, giocatore molto atletico e trasferitosi a Phoenix visto che il suo utilizzo era calato drasticamente a Washington con l’arrivo di Coach Mike Hopkins. Alle loro spalle, tre esordienti le cui capacità di adattamento alla D-I incideranno notevolmente sulla profondità delle rotazioni: Trey Drechsel (grad transfer da una D-II), Tim Finke (freshman strappato ad alcune squadre di primo piano) e J.J. Rhymes (transfer da junior college).
Il resto del quintetto sarà composto da Oscar Frayer (ala piccola di efficacia e versatilità difensive poco comuni), Michael Finke (ex Illinois e fratello maggiore di Tim) e, appunto, Alessandro Lever. Il talento e la varietà di soluzioni della coppia Finke-Lever dovrebbero garantire dei progressi nella metà campo offensiva, specie se il loro primo cambio, il lettone Roberts Blumbergs, dovesse far valere la sua mobilità e capacità di aprire il campo (il tiro si è visto solo a tratti, l’anno scorso).
Mantenere inalterata l’efficacia della pressione perimetrale, magari migliorare la protezione del ferro (cosa difficile, viste le caratteristiche dei tre lunghi appena citati) e, in generale, produrre di più in attacco: questi dovranno essere gli obiettivi da inseguire per porre fine al dominio di New Mexico State nella WAC.
Per quanto riguarda la conference, gli equilibri ai nastri di partenza sono quasi identici a quelli dello scorso anno: NMSU rimane la squadra da battere, Grand Canyon è la sua inseguitrice più ravvicinata, mentre Utah Valley e Seattle (come vedremo meglio nella scheda di Mattia Da Campo) possono fare da terzo incomodo. Nella WAC, l’unico biglietto disponibile per la Big Dance si stacca attraverso la vittoria nel torneo di conference: a Coach Dan Majerle e i suoi ragazzi, il compito di farsi trovare pronti a inizio marzo.
2. Davide MORETTI
PG/SG | So. | ’98 | Texas Tech
Alti e bassi tipici da matricola europea, ma poi anche grosse soddisfazioni a livello di squadra. Al suo primo anno in NCAA, Davide Moretti ha avuto modo di portare il proprio mattoncino a una Texas Tech che ha terminato la stagione andando lontana nel Torneo NCAA come mai prima nella sua storia, fino alle Elite Eight in cui si è dovuta arrendere dinanzi ai futuri campioni di Villanova.
12.3 minuti, 3.5 punti, 31.7% da tre, 1.1 assist: questa la statline finale del Moro, che ha affrontato un periodo di difficoltà nella parte centrale della stagione – per metà contingente e per metà fisiologico – per poi risollevarsi ed esprimere la sua pallacanestro migliore proprio sul più bello, durante la March Madness. Bene contro una rognosa SFA al primo turno, poco utilizzato nella vittoria su Florida e, alle Sweet 16, davvero ottimo nel successo su Purdue, con 7 punti e 2 assist in 15 minuti, ma soprattutto una difesa di livello contro l’esperto Dakota Mathias.
La difesa non è mai stato il suo forte: durante la regular season, lo abbiamo visto affrontare in modo discreto gli avversari diretti di fascia media, ma fare molta fatica contro giocatori d’élite come Devonte’ Graham e Jevon Carter. Nel Torneo NCAA, ha però mostrato segnali interessanti, anche se non abbastanza da conquistare la fiducia di Coach Chris Beard. Contro Villanova, si era fatto trovare pronto in alcuni momenti delicati, segnando 7 punti in 12 minuti, ma per essere poi sostituito in maniera sistematica sui possessi difensivi nonostante, ad esempio, una eccellente difesa in post basso su Jalen Brunson: non uno qualsiasi, ma una guardia che aveva passato la stagione a dominare in quelle situazioni, mettendo insieme percentuali al ferro da lungo.
Se i segnali si tramuteranno in progressi acquisiti, Moretti sarebbe a metà dell’opera verso un ruolo da protagonista in questa stagione. Avrà presumibilmente più palloni a disposizione e libertà di esprimere pezzi del suo repertorio offensivo poco ricorrenti durante l’anno da freshman, come l’arresto-e-tiro dalla media. Sarà interessante vedere come affronterà l’alto livello di atletismo e di fisicità della Big 12, adesso che ha 9 chili di muscoli e un anno di esperienza in più.
FIT & CONTESTO • La Texas Tech di quest’anno sarà una squadra profondamente diversa rispetto all’ultima vista in campo. Via quattro senior (fra cui il leader Keenan Evans) e uno dei freshmen più stupefacenti della scorsa annata (Zhaire Smith, draftato dai Sixers), i volti nuovi sono parecchi e i pronostici che circolano al momento sono solitamente poco benevoli per una squadra che proviene da una stagione eccellente, proiettandola spesso fra le escluse dal Torneo NCAA.
I Red Raiders potrebbero però far rimangiare certe previsioni: al di là della chimica da ricostruire, ci sono diversi motivi di ottimismo e il potenziale adatto per riconfermarsi come squadra da Top 25.
Innanzitutto, il manico è di qualità. Chris Beard si sta confermando come uno dei migliori allenatori emergenti, estremamente abile nel reclutare giocatori con un talento superiore alle loro quotazioni, per poi convogliarli in un sistema di gioco che ne esalta le qualità. Dopo la sorpresa Smith, quest’anno potrebbe essere Jarrett Culver il prospetto pronto a esplodere, trascinare la squadra e, contestualmente, strappare consensi crescenti in ottica Draft.
In secondo luogo, le nuove pedine promettono bene e contribuiscono a dare l’impressione netta che ci sia abbastanza margine per assistere a un assemblaggio armonioso delle parti. In particolare i grad transfer Matt Mooney (da South Dakota) e Tariq Owens (da St. John’s) portano in dote alcune qualità necessarie: il primo può segnare in quantità e ha un fisico più che adatto per giocare da guardia nella Big 12; il secondo ha doti di stoppatore fra le migliori in tutta la D-I.
In tutto questo, Moretti è fra i candidati per un posto nello starting five, potendo giocare da point guard in una backcourt line-up che comprenderebbe Mooney e Culver. In alternativa, il Moro continuerebbe a uscire dalla panchina, facendo posto a uno fra DeShawn Corprew e Brandone Francis, con Mooney spostato on-the-ball (ruolo che sa ricoprire, ma non il suo preferito).
Anche al massimo del proprio potenziale, la vita nella Big 12 non sarà semplice per i Red Raiders. La qualità della conference è sempre altissima (seconda solo alla ACC nel panorama delle 32 conference di quest’anno) e a guidare il gruppo ci sarà per l’ennesima volta Kansas, che potrà contare su un roster da titolo nazionale, potenzialmente uno dei migliori mai allenati da Bill Self. Per quanto possa essere difficile rivaleggiare coi Jayhawks, le inseguitrici di alto livello non mancano mai, in primis Kansas State e West Virginia. Insomma, sulle dieci squadre che compongono la conference, ne possiamo contare tranquillamente otto con legittime aspirazioni di partecipazione al Torneo NCAA. A Texas Tech, la missione non semplice – ma affatto campata in aria – di sorprendere tutti ancora una volta.
3. Pierfrancesco OLIVA
SF/PF | R-Jr. | ’96 | Saint Joseph’s
Con due stagioni di attività inframezzate da uno stop obbligato, Pierfrancesco Oliva è oggi l’italiano che milita da più tempo in Division I. Ritornato in campo dopo un anno da redshirt, Checco ha indossato le vesti di tuttofare nel frontcourt di Saint Joseph’s, viaggiando a quota 6.6 punti, 6.8 rimbalzi, 3.0 assist in 27.5 minuti di utilizzo. La sua è stata una stagione apprezzabile, soprattutto se si tiene conto della ruggine che ha dovuto togliersi di dosso un po’ per volta: «Mi sento bene, ovviamente molto meglio dell’anno scorso, visto che tornavo dopo essere stato fermo un anno», ci racconta Oliva, spiegandoci la sua situazione a livello fisico, dopo aver subito una frattura al polso al termine della scorsa stagione: «È stato un infortunio serio ma il recupero è stato abbastanza facile, visto che si è risolto tutto praticamente durante la offseason».
Point Forward in tutto e per tutto, Oliva si distingue per un QI cestistico particolarmente alto che riesce a esprimere attraverso una visione di gioco eccellente accompagnata da doti di passaggio non inferiori. Rimbalzista utile e presente (con un career-high di ben 18 carambole), ha un modo di stare in campo sensibilmente più maturo che oggi ne fa uno dei leader della sua squadra.
Insomma, i progressi riscontrabili sono diversi ma c’è anche una pecca costante: le percentuali al tiro. Le giornate buone e quelle cattive si alternano continuamente per quanto riguarda le conclusioni dal campo (49.3% con un 32.8% da tre), ma il vero problema è ai liberi, dove non è riuscito ad andare oltre un bassissimo 50.4%. Superare questo blocco rappresenterebbe una vera svolta per il suo gioco.
Durante l’estate, ha lavorato sul tiro così come sul ball handling, ma c’è anche un altro aspetto specifico al quale si è dedicato è che potrebbe avere risvolti interessanti quest’anno: «Mi sono concentrato molto sul gioco in post, cosa che non ho sfruttato nei miei primi due anni. È una parte di gioco che penso mi possa aiutare molto visto che spesso mi capitano dei mismatch dove ho un vantaggio fisico».
FIT & CONTESTO • Con Saint Joseph’s, la storia è sempre la stessa: se gli infortuni non la toccheranno più del normale, potrà fare strada e magari riprendersi la vittoria finale nel torneo dell’Atlantic 10, conquistata per l’ultima volta quando Oliva era un freshman.
La scorsa stagione, così come quella precedente, è stata funestata da assenze importanti. La squadra di Philadelphia ha dovuto fare a meno di due giocatori-chiave (Lamarr Kimble e Charlie Brown), ha arrancato in diverse occasioni ma, alla fine, si è mostrata in gran forma in dirittura d’arrivo, sfiorando l’accesso alla finale dell’A-10.
Il backcourt degli Hawks ha qualità ed esperienza, ma anche uno spettro chiamato “injury prone” che aleggia attorno a Kimble (due anni passati più fuori che dentro il campo) e al grad transfer Troy Holston (out in due delle ultime tre stagioni per via d’infortuni al ginocchio). Se parliamo di ali e lunghi, c’è da fregarsi le mani nell’immaginare i risultati possibili dati dalle combinazioni di line-up che si possono ottenere incastrando i vari Brown, Oliva, Taylor Funk e Anthony Longpré: tutti giocatori con identità tecniche molto diverse e che possono garantire una certa flessibilità di soluzioni a partita in corso.
Finora Checco ha passato gran parte della sua carriera collegiale nello starting five di Saint Joseph’s (in 52 partite su 64, per la precisione): probabilmente sarà ancora così, ma anche in caso contrario il suo minutaggio continuerà a essere alto, così come il grado di responsabilità che dovrà prendersi.
Per quanto riguarda l’A-10, i pronostici sono più che mai aperti. Non c’è più una squadra dominante com’è stata la Rhode Island delle ultime due annate: ciò, insieme ad altri fattori, potrebbe intaccare le possibilità di at-large bid. Nelle ultime undici stagioni, la conference è sempre riuscita a mandare almeno tre squadre alla March Madness, ma il rischio che la striscia si possa interrompere (già sfiorato l’anno scorso) è abbastanza considerevole. Fare previsioni è davvero difficile, ma possiamo comunque dire che Saint Joseph’s – insieme a Saint Louis, Davidson e George Mason – fa parte di un gruppetto di squadre che, sulla carta, sembra avere qualcosa in più. Le dark horse abbondano però (occhio a UMass e Duquesne, per esempio) e occorrerà un po’ di tempo prima che le gerarchie si definiscano.
4. Giovanni DE NICOLAO
PG | Jr. | ’96 | UT San Antonio
Subito dopo Lever, Giovanni De Nicolao è l’italiano con l’impatto più rilevante all’interno della propria squadra ed è l’unico ad aver avuto sempre un posto fisso nello starting five, mostrando alcuni progressi interessanti durante l’annata da sophomore, nella quale ha messo insieme 8.7 punti, 3.3 rimbalzi e 3.5 assist in 27.9 minuti d’utilizzo.
Medie molto simili a quelle dell’anno da freshman, ma in una squadra, stavolta, con record vincente (20-15). Inoltre, le sue stats comprendono percentuali al tiro nettamente migliori rispetto all’anno precedente, eccetto ai liberi, dove si sono attestate su un 67.6% abbastanza insoddisfacente. Per il resto, è passato dal 26.1% al 34.6% dall’arco e dal 34.7% al 44.0% da due, segno sia di un contesto fattosi più favorevole per selezionare le conclusioni che di progressi scaturiti dal lavoro individuale. Significativi i miglioramenti nelle percentuali al ferro (dal 35.7% al 52.5%, secondo Hoop-Math), impennatesi in buona parte grazie a un floater efficace che De Nicolao ha sviluppato per non rischiare contatti in traffico difficili da assorbire.
Difensore sempre molto presente, ottimo rubapalloni e, soprattutto, metronomo della squadra: Gio è sempre stato centrale nei meccanismi di UTSA e sa bene come mettere in moto i compagni. Coach Steve Henson, dal canto suo, non ha mai mancato di sottolinearlo: «Fa un lavoro coi fiocchi, è un leader vero e gli importa solo della squadra. È tutto ciò che vorresti in una point guard», ha detto alla guida Blue Ribbon di quest’anno.
La sua esperienza NCAA è stata particolarmente positiva fin qui e adesso punta all’obiettivo massimo, l’accesso alla March Madness. Insomma, ora o mai più, dato che questa sarà probabilmente la sua ultima stagione coi Roadrunners, avendo dichiarato da tempo la volontà di laurearsi al termine del terzo anno.
FIT & CONTESTO • Coach Henson sembra proprio aver intrapreso la strada giusta per plasmare un programma che possa mantenersi stabilmente su buoni livelli. Prima di lui, UTSA accumulava sconfitte ed era sostanzialmente ignorata in un ambiente calamitato dal football: negli ultimi due anni, invece, ha portato a casa vittorie con frequenza sempre maggiore e cominciato ad attirare qualche spettatore in più sulle tribune.
Certe cose non accadono per caso: Henson è stato abile nel tirare fuori il meglio dai suoi ragazzi e, insieme al suo staff, ha reclutato in modo molto azzeccato. L’inserimento di De Nicolao ha fornito alla squadra un affidabile floor general cui affiancare, poi, il talento offensivo selvaggio di Jhivvan Jackson e la versatilità di Keaton Wallace. I tre formano un trio di guardie invidiabile nella C-USA e sono la spina dorsale del roster insieme a Byron Frohnen, un 3/4 capace d’incidere silenziosamente in molti modi.
UTSA punta forte sui suoi esterni ma la profondità del reparto è da testare dopo gli addii di George Willborn (trasferitosi a UC Riverside) e Deon Lyle (nella JBA di LaVar Ball). Il freshman Adokiye Iyaye dovrebbe portare un contributo importante uscendo dalla panchina, sobbarcandosi più responsabilità del previsto a inizio stagione dato che il leading scorer Jackson tornerà in campo solo a dicembre.
L’anno scorso, Henson aveva ben poco da pescare in panchina per dare fiato a Frohnen e Nick Allen, ma ora avrà due giocatori che forniranno qualche opzione in più nel reparto lunghi. L’australiano Atem Bior, arrivato da un JUCO, è proiettato verso un minutaggio da titolare, mentre Adrian Rodriguez, out l’anno scorso con un crociato rotto, potrebbe rivelarsi un cambio migliore rispetto al più alto ma meno energetico Toby Van Ry.
Ritmi adrenalinici e tiro da tre saranno ancora i marchi di fabbrica dei Roadrunners, candidati al ruolo di guastafeste in una C-USA che si preannuncia scoppiettante. Middle Tennessee è in rebuilding dopo l’addio di Coach Kermit Davis ma la parte alta della conference appare competitiva come non mai, forse abbastanza da mandare finalmente due squadre al Torneo NCAA – cosa difficile, ma affatto impossibile.
Western Kentucky ha tutti i favori dei pronostici, abbonda di guardie e ali con punti nelle mani e avrà il talento da lottery Charles Bassey a dominare sotto i tabelloni. Marshall proviene da una stagione esaltante (culminata con l’upset su Wichita State nella March Madness), ha un sistema consolidato e un gruppo quasi del tutto intatto rispetto all’anno scorso. North Texas ha anch’essa molte conferme, giocatori in crescita e opzioni offensive più numerose che in passato. Squadre come Old Dominion, Southern Miss e, appunto, UTSA partono magari da un gradino più basso ma hanno tutte punti di forza sufficienti per poter salire nelle gerarchie e vivere una stagione importante.
5. Micheal ANUMBA
SG | Fr. | ’99 | Winthrop
È da molto che non lo vediamo in Italia, visto che ha lasciato la sua Reggio Emilia nel 2015 per trasferirsi in Inghilterra: Micheal Anumba è però la matricola con maggiori possibilità di avere un impatto di rilievo in Division I e le sue prestazioni potrebbero forse riavvicinarlo a un azzurro che non vede dai tempi dei raduni con la Nazionale U16.
Il fratello minore di Simon (classe ’96 dell’Auxilium Torino), ha decisamente messo a frutto gli anni passati oltremanica, fra Manchester Magic e Loreto Academy, emergendo fra i prospetti migliori del Regno Unito (#3 nella UK Top 20 stilata per l’edizione 2017 del Deng Camp) grazie alla sua combinazione di mezzi fisici e atletici che gli permette di fare la differenza in entrambe le metà campo.
Guardia utilizzabile in una gran varietà di assetti diversi, Anumba è un atleta eccellente con misurazioni a dir poco interessanti (193 cm d’altezza per 205 cm di wingspan e 93 kg di peso). Difensore sulla palla rapido di gambe e accoppiabile con una certa varietà di giocatori, in attacco mostra un tiro affidabile e nessun patema nel lasciarlo partire dalla linea da tre, sfruttando il pick and roll. In fase realizzativa, è in penetrazione che da il meglio di sé, essendo capace di spiazzare gli avversari con buone finte e qualche cambio di passo, di arrivare al ferro a grandi falcate, con facilità, e concludere in maniera parimenti efficace sia con la mano destra che con la sinistra – anche in acrobazia, se necessario.
Cercato anche da Davidson, l’ex Pallacanestro Reggiana ha infine optato per Winthrop, andando incontro a un contesto dove sembrano esserci le condizioni giuste per emerge sin da subito.
FIT & CONTESTO • Prima Radford, poi tutte le altre: ci sono pochi dubbi nell’indicare i campioni in carica del torneo della Big South come favoriti di quest’anno, mentre nel resto della conference l’equilibrio è massimo per valori sulla carta e la varietà di pronostici è notevole.
Nei confronti di Winthrop, le opinioni vanno in genere dalla cautela al pessimismo, ma sottovalutare un coach come Pat Kelsey può essere un errore. Giunto alla settima stagione sulla panchina degli Eagles, nelle ultime cinque ha vinto due titoli di regular season e non si è mai piazzato al di sotto del terzo posto. Una continuità di risultati davvero rara.
La squadra di quest’anno non avrà più la stella Xavier Cooks, che ora gioca da professionista al Würzburg. La perdita è di quelle importanti e qualcuno dovrà necessariamente fare un passo avanti per sopperire alla sua assenza. Per fortuna, i veterani non mancano: le guardie Bjorn Broman e Adam Pickett sono i due maggiori candidati a prendere in mano la leadership del gruppo. Accanto a loro, a completare il backcourt ci sarà la PG Nych Smith, ma allo stesso tempo il nostro Anumba sembra davvero lanciato verso minuti e responsabilità in quantità, possibilmente da sesto uomo. Coach Kelsey non ha fatto mistero di stravedere per il reggiano e sembra propenso a fidarsi molto di lui come elemento che possa contribuire tanto nella fase offensiva quanto in quella difensiva. Il potenziale non gli manca; la fiducia dell’ambiente, a quanto pare, nemmeno: se Micheal saprà passare ai fatti, potrebbe finire per diventare una delle maggiori rivelazioni della Big South. E non solo.
6. Guglielmo CARUSO
PF | Fr. | ’99 | Santa Clara
Il #1 del ranking dei classe ’99 sta per toccare con mano un sogno cullato da tempo. Guglielmo Caruso aveva la NCAA in mente da parecchio e adesso potrà immergersi nella nuova realtà vestendo la maglia di Santa Clara. Il lungo napoletano è reduce da una stagione alquanto travagliata. Un’operazione alla spalla destra lo aveva tenuto lontano dal campo per ben cinque mesi: tornato sul parquet, è riuscito a infilare diverse belle prestazioni che, però, non hanno impedito la retrocessione del Napoli Basket, squadra che non si è mai davvero dimostrata all’altezza della categoria. Caruso invece, da par suo, ha avuto un buon impatto con la Serie A2 e ha chiuso la stagione con cifre di tutto rispetto: 9.1 punti, 5.5 rimbalzi, 1.5 stoppate in 23.2 minuti nell’arco di 17 partite fra regular season e play-out.
Evolvere verso il ruolo di 4 e crescere dal punto di vista fisico: questi sono i due punti che ci appaiono cruciali nello sviluppo dell’ex PMS. Il secondo, in particolare, risulta piuttosto pressante se pensiamo alla necessità di avere un certo impatto nel college basket. Atleticamente nella norma, la mancanza di chili risulta problematica sia nella difesa in post basso che nei rimbalzi sotto i propri tabelloni.
Caruso però ha diverse armi, un certo tipo di versatilità che – come vedremo meglio più avanti – dovrebbe combaciare con lo stile dei Broncos. In difesa, fa valere le lunghe braccia e il suo tempismo eccellente per stoppare palloni regolarmente. Nella metà campo offensiva, la sua capacità di attaccare il ferro dal palleggio (specialmente andando a sinistra) è migliorata col tempo, è da sempre un rollante pericoloso, un discreto passatore (forse un po’ sottovalutato) e il suo range di tiro si sta espandendo, pur molto lentamente: ad oggi, mostra fluidità e sicurezza più che altro dalla media distanza, mentre i tentativi da tre sono ancora rari.
FIT & CONTESTO • Dura, durissima la vita nella West Coast se non ti chiami Gonzaga: lo squadrone di Spokane, potenziale #1 della nazione, si prospetta talmente più forte rispetto alle rivali della conference da poter condurre, ancora una volta, un campionato tutto suo. BYU e anche una Saint Mary’s in forte restyling sono le formazioni maggiormente attrezzate per strappare quel secondo posto che, con la nuova formula adottata, significa accesso diretto alle semifinali del torneo di conference. Occhio però anche a San Francisco e a San Diego, pericolose abbastanza per mettere loro qualche bastone fra le ruote.
E Santa Clara? I californiani hanno margini di crescita rispetto a una stagione con record 11-20, ma appartengono comunque alla (larga) fascia mediana di squadre la cui stagione può prendere facilmente pieghe molto diverse, dal rivelarsi come sorprese allo sprofondare nelle ultime posizioni.
Il senior KJ Feagin sarà il go-to-guy offensivo di una squadra che, secondo la filosofia di Coach Herb Sendek, sarà votata a una pallacanestro dove i ruoli classici tendono a lasciare il posto a un approccio positionless che ha portato Santa Clara a cercare quanto possibile di riunire giocatori versatili, con molteplici qualità. Questo, appunto, è stato il modus operandi adottato nel reclutamento dei cinque freshmen che compongono il roster e fra i quali Caruso spicca in maniera particolare per talento e upside.
I minuti non dovrebbero mancargli, anche se presumibilmente in uscita dalla panchina. In ogni caso, nel frontcourt ci sono tante opzioni quanti interrogativi. Josip Vrankic sembra l’unica certezza: viene da un’ottima stagione da matricola e avrà spazio in abbondanza. Insomma, starà innanzitutto a Caruso dimostrare di essere la pedina giusta sulla quale puntare, ma molto dipenderà anche dagli assetti che Coach Sendek finirà per preferire. Ovvero se, per esempio, vorrà andare sullo “small” o invece cambiare le carte in tavola e puntare maggiormente sulla protezione del ferro, aspetto altamente deficitario nella stagione passata in una squadra che, in difesa, concentrava le proprie energie innanzitutto sul perimetro.
7. Gabriele STEFANINI
SG | So. | ’99 | Columbia
Grinta, faccia tosta e punti nella mani: Gabriele Stefanini è ora al secondo anno di college (il quarto in totale negli USA), quello che potrebbe vedere la sua esplosione a livello NCAA. La combo guard ha chiuso la sua stagione da matricola a Columbia con 5.9 punti, 1.9 rimbalzi e 1.0 assist di media in 13.1 minuti d’impiego, con 6 partite in doppia cifra e un career-high di 20 punti sul campo di Brown. Ha finito per racimolare spazi inferiori rispetto a quelli che, durante l’annata, sembrano prefigurarsi alla luce di certe sue prestazioni (due volte Rookie of the Week nella Ivy League nel giro di tre settimane). Come vedremo meglio più avanti, le cose potrebbero e dovrebbero cambiare.
Gabe si è sempre distinto per un tiro da tre mortifero sia in catch-and-shoot che dal palleggio: l’anno scorso non si è smentito, mettendo insieme un notevole 45.6% (26/57 in totale), miglior percentuale individuale della sua squadra. Stefanini può far male anche in altri modi: dalla media, per esempio, dove sfoggia una certa abilità nell’usare il perno per il turnaround jumper.
Sempre in cerca di seconde opportunità sotto i tabelloni avversari, non si fa scrupoli nell’attaccare il ferro, anche in situazioni complicate: nell’ultimo anno è però venuta a mancare la capacità di strappare viaggi in lunetta. Nella sua metà campo, è sempre stato un giocatore molto aggressivo sia sulla palla che lontano da essa: la speranza è che questi suoi sforzi possano essere meglio incanalati e premiati in una squadra che, nella scorsa stagione, è stata punita grandemente per le sue scelte difensive.
FIT & CONTESTO • Un anno fa, era lecito parlare di Columbia come di una squadra promettente sul medio-lungo termine, ma il magro raccolto della scorsa stagione e gli addii avvenuti nella offseason proiettano più di un’ombra sul programma newyorchese.
Dopo aver rimediato tante sconfitte in una non-conference season proibitiva, i Lions sono stati molto discontinui nella Ivy League e hanno fallito l’accesso alla Final Four per il titolo di conference. Tanto talento offensivo ma anche una difesa colabrodo (321a per DRtg in tutta la D-I): Coach Jim Engles ha fin qui adottato scelte tattiche tanto estreme quanto poco fruttuose, oltre a dare spesso l’impressione di non sentire il polso della squadra, il che rischia di vanificare del tutto i suoi sforzi e meriti come reclutatore.
Due freshmen di spicco – Jaron Faulds e Myles Hanson – hanno deciso di salutare dopo appena un anno e il passaggio anticipato al professionismo di Lukas Meisner lascia un vuoto importante nel reparto lunghi. Columbia non sta tenendo il passo di una conference il cui livello si sta pian piano alzando e dovrà riporre le proprie speranze di risalita in un terzetto di guardie che, sulla carta, può fare la differenza: Mike Smith, Quinton Adlesh e Gabriele Stefanini.
Finora Engles ha mostrato una fiducia piuttosto limitata nei confronti di Gabe, visti i pochi minuti lui concessi (solo quattro partite con più di 20 minuti in campo) a dispetto di alcune ottime prestazioni nella seconda metà della stagione. Con gli addii di Nate Hickman e di Kyle Castlin, le porte dello starting five dovrebbero spalancarsi adesso dinanzi al bolognese. Con la giusta amalgama fra la creatività di Smith (gran talento, ma da indirizzare in modo da renderlo più efficiente) e il tiro di Adlesh e Stefanini, i Lions potrebbero ancora dare fastidio alle varie Harvard, Penn, Princeton e Yale. Il vero salto di qualità, però, dovrà passare necessariamente da una filosofia difensiva diversa che permetta a Columbia di non essere più subissata di triple.
8. Federico POSER
PF | Fr. | ’99 | Elon
Una gran stagione col Treviso Basket a fare da trampolino per il salto oltreoceano: Federico Poser arriva in Division I forte di un’annata da protagonista con la maglia del club veneto. Il lungo, dopo aver collezionato alcune apparizioni in Serie A2, ha fatto faville nelle tre partite delle Finali Nazionali U20 di Torino dove ha vinto lo scudetto con la sua De’Longhi e messo insieme 16.7 punti e 7.7 rimbalzi di media che gli sono valsi l’inserimento nel quintetto della manifestazione. In seguito, Poser ha fatto parte del gruppo azzurro allenato da Eugenio Dalmasson in vista degli Europei U20, senza però poi essere selezionato per partecipare al torneo.
Ala forte dalla statura affatto imponente (203 cm) ma dal fisico piuttosto roccioso (104 kg), Poser ha il suo punto forte in un gioco off-the-ball efficace nei pressi del canestro, fatto di accortezza e tempismo nell’occupare l’area negli spazi giusti e al momento giusto, mostrando un buon tocco vicino al ferro. Queste, appunto, sono le doti che hanno convinto Elon a puntare su di lui: «Siamo felicissimi che Federico sia qui, – ci ha detto Coach Matt Matheny – Siamo entusiasti riguardo il suo talento complessivo, in particolare della capacità di segnare e del suo QI cestistico. Ci aspettiamo che abbia un impatto immediato.»
FIT & CONTESTO • Elon proviene da un’annata molto al di sotto delle aspettative iniziali (record 14-18) che, oggi, condiziona profondamente i pronostici che la riguardano. L’università del North Carolina è infatti generalmente indicata fra le ultime posizioni della Colonial, conference di livello discreto nel panorama Mid-Major la cui squadra più attesa quest’anno è senza dubbio Northeastern, formazione molto esperta e che ha come stella la point guard serba Vasa Pusica.
Per risollevarsi, i ragazzi di Coach Matheny dovranno dare un serio giro di vite difensivo rispetto alla scorsa annata: la loro retroguardia, infatti, era inspiegabilmente crollata nel giro d’un anno, pur avendo interpreti identici (passata dal 113° al 301° DRtg nella nazione). In attacco, si appoggeranno sul contributo del playmaker Dainan Swoope e, soprattutto, quello della PF Tyler Seibring, uno dei migliori giocatori nella storia recente dei Phoenix.
Salvo rivoluzioni improbabili, lo stile di gioco degli orogranata non è particolarmente incline a premiare con molti minuti un lungo pesante e poco versatile come il lituano Karolis Kundrotas: è qui dunque che per Poser entrano in gioco le sue speranze di avere un buon impatto sin da quest’anno. Il ragazzo veneto partirà dalla panchina ma, in linea teorica, appare come un elemento piuttosto adatto per animare il frontcourt al fianco di Seibring, le cui capacità di aprire il campo e di brillare nei meccanismi della motion offense di Elon possono trovare un buon controcanto nel bagaglio tecnico e nella mobilità di Poser.
9. Mattia DA CAMPO
SG | Jr. | ’97 | Seattle
I primi due anni al college di Mattia Da Campo sono stati avari di spazi. L’anno scorso è stato in campo per 7.3 minuti di media (1.5 punti e 1.7 rimbalzi), con sole 8 partite (su 27 disputate) nelle quali ha avuto un minutaggio in doppia cifra. Gregario da freshman agli ordini di Coach Cameron Dollar così come col suo successore, Jim Hayford, nell’anno da sophomore: l’ex Stella Azzurra – ora unico italiano di Seattle dopo il transfer di Scott Ulaneo in D-II – potrebbe però veder cambiare la sua situazione, in qualche misura. Giocatore che ha dimostrato più volte la sua capacità di mettersi al servizio della squadra, Da Campo può tornare utile nella metà campo difensiva grazie a un certo grado di adattabilità e, forse, potrà anche cominciare a mettere in mostra qualcosa di più in fase d’attacco, dove per altro ha ben figurato in quanto a efficienza realizzativa nei pochi incontri in cui è stato chiamato a calcare il parquet per più tempo del solito (14/23 dal campo e 5/7 a cronometro fermo nelle 8 partite menzionate prima).
FIT & CONTESTO • Jim Hayford era chiamato a dare una scossa all’ambiente dopo la fase di stagnazione vissuta sul finire dell’era Dollar. L’ex coach di Eastern Washington ha portato a termine la sua missione al primo anno, confermando l’ottima reputazione con la quale si era presentato a Seattle e dando la netta impressione di poter pian piano costruire qualcosa d’interessante da quelle parti.
I Redhawks hanno disputato una buonissima stagione nella quale hanno sfiorato il colpaccio contro New Mexico State nella semifinale del torneo di conference, oltre a chiudere con un record vincente (20-14) per la prima volta in tre anni e conseguito il maggior numero di vittorie annuali sin dal loro ritorno in D-I (stagione 2009-10).
Nella WAC, NMSU è come sempre un passo o due davanti a tutte, con Grand Canyon che prova a tallonarla. Seattle però non starà a guardare e, nonostante i molti ricambi nel roster, promette di essere pericolosa. Matej Kavaš è uno dei migliori realizzatori della conference e un serissimo candidato a Player of the Year: sarà la punta di diamante di una squadra che conterà molto anche sui progressi di Morgan Means e sugli innesti di Delante Jones (ex American) e Myles Carter (arrivato da Seton Hall).
Da Campo è uno dei molti esterni di una squadra spiccatamente perimetrale, plasmata sul 4-out 1-in. Kavaš occuperà moltissimi minuti ma, in generale, la concorrenza interna sembra un po’ più abbordabile che in passato per l’italiano, anche perché le opzioni a disposizione di Hayford potrebbero permettere a quest’ultimo di utilizzare rotazioni meno ristrette rispetto all’anno scorso. Forse sarà proprio questa la stagione giusta per vedere Mattia come presenza stabile ma, come dice lui stesso, tutto dipenderà in primo luogo da lui e dalla bontà delle sue prestazioni.
10. Ethan ESPOSITO
SF/PF | So. | 99 | Sacramento State
Il suo nome è rimasto perlopiù sconosciuto in Italia, trattandosi di un ragazzo partito per gli Stati Uniti molto presto, quando aveva solo 14 anni, quindi prima di poter anche solo pensare di affacciarsi a ribalte nazionali a livello under o addirittura entrare nella trafila delle squadre azzurre, pur avendo poi avuto tale occasione l’anno scorso partecipando a un raduno della U18 di Coach Andrea Capobianco.
Ethan Esposito, insomma, ha intrapreso una strada tutta sua che lo ha portato fino alla Division I, con la chance di ritagliarsi spazi veri sin da subito. Dopo gli anni di high school a Torrey Pines, il giovane napoletano è rimasto a San Diego per quella che, alla fine, è stata la sua unica annata di junior college. È stato uno dei giocatori di punta dei San Diego City Knights, arrivando a un passo dal titolo nella CCCAA (il campionato JUCO californiano) e viaggiando a quota 10.1 punti, 5.9 rimbalzi e 1.1 assist durante la stagione.
Alto 201 cm per 100 kg di peso, Esposito ha sempre giocato molto vicino a canestro, in particolare nel corso dell’ultimo anno, mettendo la sua fisicità al servizio di una squadra estremamente undersize. Quest’anno giocherà più che altro da 4, mentre il suo obiettivo di lungo termine è quello di diventare un’ala piccola vera e propria. Sono diversi i passi da compiere in questo senso, dal ball handling a un tiro da tre che è ancora tutto da sviluppare. Nel frattempo, potrà far leva su altre doti per portare il suo mattoncino a livello di D-I, per esempio il jumper dalla media distanza e la capacità di concludere al ferro con entrambe le mani.
FIT & CONTESTO • Sacramento State è una formazione abbonata da anni al centro classifica della Big Sky e nulla sembra far presagire un cambio di copione imminente, da questo punto di vista, in una conference che si preannuncia dominata dai campioni in carica di Montana.
Coach Brian Katz ha perso quello che era di gran lunga il miglior elemento della squadra, l’ala Justin Strings, ovvero il modello di giocatore fisico, versatile e con gran doti di realizzatore sul quale Katz dice di voler plasmare lo sviluppo sul lungo termine di Esposito. L’addio di Strings è però l’unica nota dolente per gli Hornets, visto che ritroveranno Marcus Graves (floor general di vitale importanza, l’anno scorso out per infortunio) in una squadra che ha il suo bel tasso d’esperienza, essendo per buona parte composta da giocatori al terzo o al quarto anno.
Coach Katz sembra davvero intenzionato a dare spazio a Esposito, il quale ci ha detto di sentirsi ottimista circa la portata del suo impiego futuro. L’amichevole stravinta per 103-55 con la piccola Bethesda ha offerto indicazioni positive in questo senso, non tanto per i 15 punti in 16 minuti messi a segni contro un avversario modestissimo, quanto piuttosto per il fatto che il napoletano è stato il primo giocatore a entrare dalla panchina, utilizzato poi quasi esclusivamente nel primo tempo.
11. Pietro AGOSTINI
PF | Fr. | ’99 | Kennesaw State
Un po’ come nel caso di Esposito, anche qui parliamo di un ragazzo rimasto sempre fuori dai radar italiani e che ha costruito il suo percorso cestistico negli Stati Uniti. Lasciata la sua Trieste all’età di 15 anni, Pietro Agostini ha attraversato gli USA da una parte all’altra, di anno in anno, per inseguire l’obiettivo Division I: da Boston a New York fino a Phoenix per entrare nei ranghi di Hillcrest Prep durante l’ultima stagione. In mezzo, anche un passaggio ad Atlanta con Combine Academy per l’estate AAU del 2017, nella quale è stato adocchiato dal college col quale giocherà quest’anno, Kennesaw State.
Lungo di 206 cm per 102 kg, Agostini si è guadagnato alcuni appellativi come Green Light per un motivo molto semplice da immaginare: la facilità, fluidità e precisione con la quale sa colpire dalla linea dei tre punti con i piedi per terra. Questa è appunto la sua caratteristica principale, cui si accompagna una buona mobilità e capacità di rendersi pericoloso in campo aperto. Nel corso degli anni ha registrato miglioramenti graduali dal punto di vista fisico che, se dovessero proseguire, dovrebbero aiutarlo nel trovare una sua dimensione nel basket collegiale.
FIT & CONTESTO • Kennesaw State è un posto particolare. Gli Owls disputeranno quest’anno la loro 14a stagione in Division I e, fin qui, non hanno mai chiuso un’annata con un record vincente. Questa lunga striscia negativa trova difficile spiegazione, come messo in luce di recente da Jeff Goodman: denaro, strutture e talento locale da reclutare non mancano, eppure l’università della Georgia non è mai riuscita a imbroccare un ciclo positivo in tutti questi anni.
Non sembra che la situazione possa cambiare nell’immediato. Coach Al Skinner, reduce da una stagione con record 10-20, deve fare i conti con diverse partenze pesanti, fra trasferimenti e giocatori che hanno terminato gli studi. Con sei esordienti e un transfer da junior college, Kennesaw State ha poca esperienza e un’amalgama tutta da ricostruire. Non è un caso, insomma, se tutti i ranking prestagionali più autorevoli la indicano fra le ultime 50 squadre della nazione.
Le speranze di far bene nell’Atlantic Sun sono minime. Lipscomb è sufficientemente rodata da qualificarsi al Torneo NCAA per la seconda volta di fila. Liberty, North Florida e anche una FGCU in rebuilding possono sorprendere. La qualità non manca fra queste squadre, ma le altre cinque della conference appaiono ben distanti, condannando quindi l’A-Sun allo status di campionato di livello medio-basso.
Per quanto riguarda Agostini, avrà le sue carte da giocarsi per guadagnare minuti e lasciare la propria impronta. Dal punto di vista offensivo, la squadra ruoterà molto attorno alle abilità di scorer della point guard Tyler Hooker, ma negli spot 4 e 5 non sembrano esserci gerarchie intoccabili e, per quanto riguarda lo spazio da back-up, il triestino dovrà misurarsi con altre due matricole, quindi senza un handicap di esperienza da dover scontare. Inoltre, Coach Skinner non si fa problemi ad allargare le rotazioni, quindi le occasioni per dar prova di sé non dovrebbero mancare. Per il resto, starà a Pietro dimostrare la propria utilità provando a incarnare il necessario grado di versatilità richiesto dalla flex offense degli Owls.
Francesco BADOCCHI
SF | R-Fr. | ’98 | Virginia
Dobbiamo purtroppo concludere la nostra Guida con una nota dolente: dopo un anno da redshirt “programmato”, il debutto in D-I di Francesco Badocchi pare ancora distante dal potersi avverare. Nonostante l’aggiunta di Braxton Key, il milanese era in posizione di ritagliarsi qualche minuto dalla panchina ed era stato indicato da Coach Tony Bennett come esordiente dal quale attendersi più probabilmente un contributo sostanzioso. In settimana, però, proprio l’allenatore di Virginia ha comunicato che Badocchi sarà indisponibile per un periodo indeterminato, per motivi di salute che al momento non sono stati resi noti. Nella speranza che la ragione dello stop sia il meno grave possibile, non possiamo far altro che augurare a Frankie una piena e pronta guarigione.